In questo successo di pubblico, sicuramente dettato dalla facilità con la quale (gli adulti? i giovani?) si sono identificati nei personaggi e nelle situazioni sta il vero interesse del film. Le ragioni le lasciamo indovinare ai sociologi, ma da parte nostra possiamo suggerire che il segreto sta nella misura del film. O, se preferite, nella sua ipocrisia.

Dei quarantenni in crisi si lasciano ma si ritrovano; una tredicenne egualmente in crisi scappa di casa ma non proprio, flirta ma non fino in fondo, contesta ma gentilmente. Tutto e in rosa in questo tempo delle mele. Dalla condizione sociale dei protagonisti, disegnatrice di fumetti la madre, dentista il padre, studentessa al liceo per bene la figlia. All'ambiente che fa da sfondo, motorino e pattini a rotelle, concerti d'arpa e disco-music, landrover e suoceri nella casa di campagna in Normandia. E tutto è in rosa, naturalmente, nella filosofia del film: anarchico ma non troppo, sovversivo per un istante IL TEMPO DELLE MELE si fissa soprattutto una regola: quella di non andare a fondo delle cose. Chiaro quindi che il film abbia quella caratteristica da molti invocata, ma non da tutti auspicata, di tranquillizzare.

Detto ciò, il film è fatto con professionalità, e si lascia vedere. La sceneggiatura, una volta impostata la linea del glissando, si svolge senza troppe sbavature. I dialoghi sono piuttosto scemi, ma fanno parte del gioco. Gli interpreti contribuiscono efficacemente alla lettura gradevole del film: Claude Brasseur e Brigitte Fossey sono bravi e sembrano perfino divertirsi E la giovanissima Sophie Marceau è stata scelta da Pinoteau con grande precisione. A metà strada fra la bambina e la donna funziona molto meglio, mi pare, di quella Brooke Shields alla quale, sembra, il film era in un primo tempo destinato.